Di Andrea Giuseppe Cerra
Nino Martoglio, ovvero «la voce» più schietta della sua terra, come ebbe a definirlo Luigi Pirandello. Sedette nei banchi del senato cittadino durante la prima sindacatura di Giuseppe De Felice Giuffrida. Conobbe dunque l’impegno politico, ma la sua fu una vita spesa anzitutto per l’arte, e in particolare per il teatro siciliano, di cui fu uno dei più autorevoli cantori. Sulla morte del genio belpassese aleggia ancora dopo decenni un velo di mistero: l’indagine dell’epoca aveva chiuso il caso stabilendo che si fosse trattato di morte accidentale, avvenuta per caduta nella tromba dell’ascensore ancora in costruzione nel complesso ospedaliero Vittorio Emanuele di Catania, in cui era ricoverato il figlio del regista.
«Hanno archiviato il caso senza un briciolo di prova, anzi non c’è un solo elemento che porta alla morte accidentale, ci sono tutti gli elementi, che portano alla tesi opposta, cioè a un possibile assassinio» sostiene Luciano Mirone, che per i tipi de “L’informazione” ha scritto un volume intitolato “Il caso Martoglio. Un misfatto di Stato alla vigilia del fascismo” (pp. 348, euro 20).
«Hanno archiviato il caso senza un briciolo di prova, anzi non c’è un solo elemento che porta alla morte accidentale, ci sono tutti gli elementi, che portano alla tesi opposta, cioè a un possibile assassinio»
Non finisce qui: fino alle cinque del pomeriggio del 16 settembre, sulla base della testimonianza del cavalier Gaetano Salemi (direttore sanitario del Vittorio Emanuele), il cadavere non era stato subito riconosciuto come quello di Nino Martoglio (con cui proprio Salemi aveva trascorso diverse ore il giorno prima). Meraviglia non poco il fatto che medico e infermiere, entrambi dello stesso ospedale, abbiano potuto prendere cotanto abbaglio attribuendo al corpo senza vita l’identità di tale Caminiti, un malato di sifilide ricoverato al Vittorio Emanuele da almeno tre anni.
Martoglio, infatti, sarebbe morto per aver attraversato senza alcuna ragione alcune stanze buie, aprendo consecutivamente tre porte e poi cadendo nel fondo di un pozzo luce da un’altezza di tre metri circa. Da un’altezza del genere, per quanto rischiosa, è più facile distorcersi una caviglia, fratturarsi un ginocchio, magari anche le costole. Oltretutto, il cadavere presentava, sulla base della perizia recuperata, il cranio fracassato all’altezza della fronte.
Che in realtà avrebbe dovuto far pensare a una frattura da sfondamento. Il perito ne descrisse appunto l’infossamento verso l’interno: aspetto, questo, che all’autore lascia presumere un colpo violento vibrato con un corpo contundente (un martello, una spranga di metallo?), per giunta assestato con una certa forza se è vero che determinò una frattura e non un semplice livido o un trauma cranico.
Intellettuale scomodo, socialista intransigente, fondatore del teatro siciliano, maestro di palcoscenico di Pirandello, pioniere del cinema “muto” e ispiratore del neorealismo di Visconti, De Sica e Rossellini, Martoglio è amato dal popolo e odiato dai “poteri forti”
Dunque, si trattò di morte casuale o assassinio? Storia banale o banalizzazione della storia per occultare movente e mandanti? C’è forse, ricordando i trascorsi politici di Martoglio, un filo sottile che collega questa morte insolita con il successivo delitto Matteotti? si chiede Luciano Mirone. Intellettuale scomodo, socialista intransigente, fondatore del teatro siciliano, maestro di palcoscenico di Pirandello, pioniere del cinema “muto” e ispiratore del neorealismo di Visconti, De Sica e Rossellini, Martoglio è amato dal popolo e odiato dai “poteri forti”. In questo libro, gli inconfessabili retroscena nascosti per oltre cento anni.